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http://www.geocities.com/clownstaples/swf/winnoise.html
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in tutte le cose che m'hanno mandato i convocati per radure 2004 oltreumano c'è la voce
layton m'ha mandato jabés + elettronica e alberti (l'angelo dei numeri) + elettronica
ximm, che si occupa di elaborazione di field recordings, una roba di viaggio nei paesi del sudest asiatico con molte voci
anche io ho messo un contributo con canto (da valery)
violi mi dovrebbe fare un'arrangiamento per coro de "la realtà non esiste" di rocchi
insomma pare che se vuoi dire qualcosa su ciò che c'è al di là dell'uomo la voce sia lo strumento più adatto
eppure la voce è proprio nell'uomo
e forse è proprio perché è nell'uomo, e non è "fatta" dall'uomo, mantiene qualcosa di naturale-misterioso-sconosciuto che gli permette di aspirare a dio
in eff non è neanche una gran scoperta a ben pensare quasi tutta la musica religiosa è cantata anche per via della preghiera e del testo
ma c'è qualcosa che va oltre il testo e che riguarda proprio la voce in se stessa
forse anche perché è il primo strumento e la spinta all'oltre dell'uomo è una esigenza o un desiderio primordiale
dio è morto dicevano oggi a cult network, la televisione art di sky
ne parlavano severino, cacciari, sgarbi e teologi che non ricordo
severino sempre nell'ottica che l'occidente è nichilista, da sempre dice lui, da sempre
cacciari più confusamente, m'è parso, con la strana idea che l'uomo non sia già più sulla terra pur continuando a pensare in modo molto terragno o qualcosa di simile
cacciari m'è sembrato molto stranito, costantemente infastidito
il termine oltreumano, che circola da un po' nelle robe filosofiche che sleggiucchio, mi sembra di averlo incontrato per la prima volta in un suo lavoro - arcipelago a prop di un cristo a venire, uno straniero
sgarbi negando o quasi all'arte la possibilità di attingere al sacro (veramente salvava qualcosa dell'arte astratta, soprattutto rothko)
dio è morto?
l'arte per me ha possibilità di toccare il sacro e lo fa tuttora e mi sa che dio non è morto
indubbiamente non sta tanto bene
anche perché noi stiamo troppo bene (almeno pare) e come dice cacciari con nietzsche addirittura ridiamo di lui
veniva spesso fuori anche heidegger e il suo solo un dio ci può salvare
il clip the tide termina proprio con questo dialoghetto
U e D
Chi è lei? Un nuovo dio?
X
No, no; soltanto un uomo.
U e D
Ah, i nuovi dei! Finalmente sono venuti.
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fortuna vuole che esistano anche artisti come holderlin o schubert che hanno percorso una strada diversa
oggi si direbbe ecologicamente sostenibile...
non hanno deviato il corso dei fiumi
non hanno sfregiato l'amore
l'hanno cantato
e si sono giusto bagnati nell'acqua del fiume
e in questo senso l'arte vale molto, non è solo opra, perché continua la vita, la perpetua
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in ritardo - come troppo spesso mi succede - vedo "elephant" di gus van sant
intorno alla strage a scuola che fecero due teen in oregon
musiche e sonoro super
c'è burroughs, robe elettroniche e beethoven per elisa e chiar di luna
eseguiti live su un pianoforte verticale
ma anche notevoli le riprese
spessissimo di spalle i ragazzi
molto originali, le riprese
e tutta la regia
e le nuvole
i dialoghi - quando ci sono - assolutamente quotidiani, quasi docu
ma poi si rivelano molto scritti
veramente notevole
verso sera sono capitato alla biblioteca delfini
e fra le novità c'era un castoro dedicato a gus
scritto da alberto morsiani
mi fanno sempre piacere queste coincidenze
leggiucchiato un po'
soprattutto mi ha colpito il fatto che abbia fatto cose alternative tipo
la turman con il pollicione che fa l'autostop
o il film con river phoenix che poi è morto
ma anche robe più hollywood come will haunting o cercando forrester o da morire con la kidman
will e da morire li ricordo comunque come a me piaciuti
ma insomma io pensavo fosse molto off
invece no
perché questo elephant è piuttosto poco hollywood
pure che ha vinto a cannes ed è piaciuto molto
è piuttosto lontano anche dalle cose tipo moore, columbine o
fahrernheit
quelli sì proprio dei documentari
questo elephant invece è un dramma vero e proprio
forse vuole sfiorare anche aspetti sociologici o psicologici o addirittura politici
ma lo fa molto di sbieco
c'è forse da chiedersi se siano eventi su cui sia opportuno costruire arte
intendo dire se ciò è etico
magari mi chiedo questo
(un po' è sempre successo però
film e romanzi e poesie e quadri e musiche sulla guerra o su altre tragedie della vita ce ne sono sempre stati
e cmq l'arte prende sempre ispirazione dalla vita)
ma in questo caso una piccola questione etica mi sale sù
mi sono soprattutto piaciuti i movimenti di macchina a rincorrere i ragazzi
quasi a volere capire cosa portassero con sé sti qui
o comunque a dirci che ne sappiamo poco
o almeno così m'è parso
e comunque originalissimi, i movimenti
meno piaciuto il tempo visto da varie angolazioni e non lineare
un po' perché già visto, un po' perché troppo architettato
e poi moltissimo il suono
così caotico eppure poetico
m'è piaciuto il tentativo di far parlare e di farci sentire il caos
sul caos e sul caso tento l'ultima
mi pare che al gioren d'incoo si possa deragliare piuttosto facilmente
magari si pensa di poter controllare e invece si va oltre
magari si pensa che non faccia - o non sia il - male e invece sì
questo caos che pensiamo di governare è decisamente molto forte
non è colposo o addirittura casuale ma è spesso preterintenzionale quello che combiniamo
siamo molto molto deboli
e nulla o non-so-che-cosa sembra capace di contenerci o controllarci o
almeno
guidarci
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1° classificato
"Dolls" di Takeshi Kitano
non si discute...
2° classificato ex aequo
"Dogville" di Lars Von Trier
"Elephant" di Gus Van Sant
notare anche le analogie fra i nomi...
qui prob mi colpiscono soprattutto le qualità tecniche, a mio parere notevoli
ma anche le questioni sfiorate
3° classificato
"Lost in Translation" di Sofia Coppola
no - aesthetical - comment, una carezza
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When you have only two pennies left in the world, buy a loaf of bread with one, and a lily with the other.
- Chinese Proverb
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mi piacciono molto i fumetti di jiro taniguchi
consiglio
soprattutto l'uomo che cammina
da cui nel delirio che sto attraversando as a filmmaker vorrei comporre un video
qui qcosa
o con Moebius
biobibliografia
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visto iersera solaris di tarkowskij dvd
bello
vers integrale lunghissima con spezzoni poi tagliati, in lingua originale
sottotitolata in it
e presentazione di e ghezzi...
come filma lui l'acqua, lo scorrere, non ce n'è
un modo di fare cinema ancora "impressionante" e anche "verace"
cioè voglio dire allo stesso tempo trascendentale ma anche naturale o comunque conservante stupore infantile
bella storia anche, quella di solaris
almeno per me
è di s. lem
nella versione in dvd la parte tradotta in italiano non corrisponde ai sottotitoli in italiano
in certi punti proprio per niente
l'inizio è bellissimo, con la - tipica - casa tarkowskijana in campagna
poi ci sono cinque minuti di viaggio in macchina - autoguidata - lungo subways che ghezzi dice sono di tokio e roba di traffico che sembra koyaanisqatsi-reggio
altro classico che m'è molto piaciuto ultimamente e l'oscuro oggetto del desiderio di bunuel
toghissima l'idea delle due donne
inspiegabile a me - e presumo a chiunque compreso bunuel stesso - lo scambio, ma togo proprio per questo
questo anche perché sto cercando di elaborare un soggetto mutante da un
romanzo di g. conte
filtrando parecchio
e per-vertendolo al tentativo piuttosto ambizioso (se non velleitario visto la debolezza di codesta - la mia - mente) di rappresentare un uomo nuovo
me lo immagino come da solaris + l'oscuro oggetto
uno che si spinge molto in là fino a addivenire a una specie nuova
e aspetta la sua donna che è multipla nel suo ricordo-visione
ma che è anche - motivo lawrencianocontianolucchiano - già nella natura
quello che c'è
ciò che verrà
ciò che siamo stati
e comunque andrà
tutto
si dissolverà
nell'apparenza
e nel reale
nel regno fisico
o in quello astrale
tutto
si dissolverà
sulle scogliere
fissavo il mare
che biancheggiava
nell'oscurità
tutto
si dissolverà
bisognerà
per forza
attraversare
alla fine
la porta
dello spavento supremo
...
il nulla
emanava
la pietra grigia
e attorno
campi di zafferano
passavano donne bellissime
in sete altere
passavano donne bellissime
in sete altere
cantano sgalambro (voce stonazzata e cavernosa) e battiato (voce chiara e angelicata) nell'ultimo cd
roba già sentita direi, ma questo pezzo ha un tocco aggraziato che m'ha conquistato
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ho sentito e visto fennesz
con video giganteschi e acquosi alle sue spalle
lui un bel figo austriaco alto e dandy
la sua chitarra molto semplice
la sua elettronica un po' mi ha ricordato quella di battiato che ricorda
quella space-kraut-rock o quella di eno
solo più sporca e massimalista, molto lasciata essere
il volume era altissimo
e questo faceva rave o techno
assolutamente beatless però
si provi a pensare a un accordo dei pink floyd o a una seduta ambient
però in macro o frattalizzata
un po' senza capo né coda, un po' giusto per fare casino, un po' invece ispirata
una roba così
lui vaghissimo
qualche giro di chitarra buttato lì, molti armeggi al laptop
ma adesso lo sto risentendo, avendolo registrato, e c'è di più
comunque un certo effetto
prima di lui musiche di tal fausto romitelli da gorizia
musicista giovane recentemente morto
anche lui m'è piaciuto parecchio
ma qui non c'era niente di vago
anzi una musica molto tesa e allucinata
strumentazione ibrida
flauto basso, tromba, synth, pianoforte, chitarra elettrica (doppio braccio!!!), basso elettrico, kazoo, fischio, batteria, xilofono, vibrafono, gong, violino, viola, violoncello (piuttosto bravo costui), clarinetti
non esattamente la musica che mi piace di più al momento
roba accademica contemporanea
ma m'è piaciuta parecchio e poi era eseguita da dio da tal icarus ensemble
a me era sembrata nipote alla lontana di quella di messiaen, solo molto più incattivita
poi sul libretto ho letto che è poco messiaen e molto xenakis
ma non condivido
perché xenakis è molto informale
mentre in fausto r (e nel progenitore messiaen ancora di più, ovviamente)
avverti con chiarezza dei motti, delle isole linguistiche
certo messiaen è contemplativo mentre sto romitelli è più che altro
allucinato, ma m'è sembrato comunque simile
il tutto era stato accostato da romitelli stesso a pagine di michaux
inmescalinato, piuttosto belle
lette da due tipi
di cui uno è il cantante dei quinto rigo
una specie di piccolo stratos romagnolo nervosetto e sovreccitato
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e ora un'altra roba
sul corso del tempo e sul futuro
sarà l'età, la paura di morire o vedere morire
ma veramente sopporto poco il tempo, lo scorrere, la sua ciclicità, con le stagioni, e la notte e il dì perfino
vorrei che tutto si fermasse
o anche meglio che si compisse un salto
e vorrei avere l'onore e il piacere di vedere venire il futuro
subito per favore
un futuro nuovo, con gente nuova e cose nuove
niente mi addolora di più dell'idea di non arrivare a vedere il futuro
so che non potrò vederlo tutto
ma qualcosa sì
dai
punto tutto su quello
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colui che un giorno insegnerà il volo agli uomini, avrà spostato tutte le
pietre di confine
esse voleranno tutte nell'aria per lui ed egli darà un nome nuovo alla terra,
battezzandola "la leggera"
è di nietzsche
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a prop del tempo, traggo dal mio livre de chevet, dal mio testo sacro
Da Heidegger impariamo come si definisca il superuomo: colui che si redime dalla volontà di vendetta e non si oppone più al trascorrere del tempo, perché ha accettato l'eterno ritorno dell'uguale. Questo essere di suprema sapienza, che ha escluso la fascinazione e la maledizione del cambiamento, tuttavia non c'è ignoto, corrisponde punto per punto all'idea del liberato in vita, fine dell'uomo secondo l'induismo.
non c'è che dire, per uno che sta mettendo insieme materiali sull'oltreuomo...
grossa contraddizione
va beh
cmq ci sono momenti in cui sono più rassegnato o fatalista o altro
momenti che mi permettono di accettare il tempo e di vederci il positivo possibile
momenti in cui non m'importa che sia notte o dì, estate o inverno, sonno o veglia
ma mi urge il futuro, il salto
(anche se giusto per contraddirmi ancora un po' anelo a una vecchiaia serena e di sapienza)
vorrei davvero vedere fare sentire qualcosa per cui è valsa la pena esserci
non che non ci sia stato niente
che anzi c'è stato molto
e non mi posso dichiarare insoddisfatto
ma è forse proprio perché c'è stato molto
che adesso ho preso fiducia
e vorrei vedere il messia
proprio perché confido che ci sia
(odo l'obiezione: ma il messia arriva spesso quando disperi che ci sia)
sempre a prop di uscite dal mondo
nel supplemento del sole 24h di domenica scorsa c'era un articolato titolato
appunto uscite dal mondo che parlava del samkhya e della sua dottrina dualistica
che per es recita
come una rosa cinese, posta di fianco a un cristallo, lo fa parere rosso così la materia, riflettendosi nell'anima, la tinge apparentemente con le sue modificazioni e vicissitudini
al samkhya sono particolarmente legato, per quanto ci capisca fino a un certo punto, anzi è assolutamente incerto il punto fa parte di quei sei o sette cosi cui mi saldai nell'ora della massima sofferenza e difficoltà e che mi vennero incontro a mia insaputa anche
nella musica mi sento un fossile
sempre ancorato ai seventies and eighties
per quanto ascolti del recente e provi a aggiornarmi poi ci infilo sempre i miei numi
e a prop di numi, mi piacerebbe - oh, massima follia - remake l'hosianna mantra del popol vuh
¤
dal sentito dire o letto in questi gg poi due cose sulla religione che sono sicuramente molto semplici ma da me condivise
mai nessuna guerra nel nome del Buddha
e dalle neuroscienze l'idea che ci sia un gene della spiritualità
spiritualità appunto e non religione
ancora a proposito del Buddha
un film (segnalazione come sempre un po' in ritardo)
Primavera, estate, autunno e inverno... e ancora primavera
coreano
semplice, tutto in un laghetto in un qualche parco naturale coreano
ma toccante
e lei è molto bella
¤
ieri sui radio 3 la diretta della festa elettronica a roma
- avevo quasi pensato di scappare di casa per andare alla festa... -
ho cmq registrato in digitale dal satellite tutta la trasmissione
e adesso sta ascoltando qualcosa
in diretta ho ascoltato solo l'experimentum mundi di battistelli remixato da martusciello
sul quale non ho un opinione precisa
il pubblico ha gradito moltissimo, entusiasmo alle stelle, applausissimi
è una roba di suoni prodotti da artigiani - in questo caso di albano laziale - trattati da battistelli prima e da i remixatori poi
pare essere una delle opere più apprezzate di musica contemporanea italiana
quella di battistelli
certo mancava il visivo che prob in questo caso contava anche
così all'ascolto m'è sembrata forse un po' banalotta
a dispetto dell'idea che invece - direi - è originale
comunque qualcosa qui, qui e qui
non ho ancora ascoltato sakamoto + fennesz da cui m'aspetto
¤
sto cinema, o video-art che si voglia dire, mi prende sempre più
ho molte idee in codesto campo
comprato a soli 9 euri il director's cut di pink floyd a pompei
oh, m'ha colpito un bel po'
è bello, lo consiglio
l'avevo visto a 18/20 anni, in un qualche cinema che
però stranamente non ricordo
sui p.f. non ho mai messo l'attenzione in modo specifico
spesso mi respinge l'aura malata che ne esce e l'eccessiva semplicità dell'accordame
ma devo ammettere che molta della musica che amo prob non sarebbe senza loro
r. waters è veramente un primitivo, un austrolopiteco o un neanderthal, ma forse proprio per questo quando urla in careful with that axe, eugene, lascia il segno
d. gilmour è molto bello, di una bellezza femminea, ma spande gelo e perfidia
entrambi non proprio simpatici, direi
ma ripeto il film è veramente bello
e l'ambientazione pompei fa
¤
pur essendo uno a cui non è il caso confidare dei segreti perché è certo che
prima o poi li svelerà
e questo vale anche per i segreti che mi confido
in realtà adoro il segreto
la mia corda poetica vibra all'idea che ci sia un segreto da custodire
¤
accendo stamane la macchina strumento elettronica
e mi dico "che bello che sei..."
rivolto al computere
con l'amore che l'operaio ha pel suo strumento
ma dippoi m'assale subitaneo l'orrore che questa bellezza scadrà in fretta
nuove macchine sempre più belle verrano
e anche lui finirà nel dimentico
sua bellezza svanirà o peggio sfiorirà
non così deve essere stato e è pel violinista col suo arnese
o pel chitarrista con sua guild o telecaster che sia
e persino presumo pel manovale pel suo attrezzo
essi duran di più
codesta è metafa del tempo che muta troppo in fretta
e che con una mano dà e con l'altra toglie
¤
visto sui canali satellitari un docu su miles davis
e ascoltato anche da bitches brew la pharaos dance e altro sempre dal sat
(in una delle mie notti quasi bianche natalizie e epifaniche)
sempre avuto molto rispetto per davis
ma sono rimasto più colpito del solito
quelle sciabolate alla tromba
veramente notevoli
poi non sapevo della sororanza con l'esistenzialismo francese
una storia con juliette greco anche
in eff c'era quel film, ascensore per il patibolo, di cui sapevo già, con la moreau
ma la ritenevo una semplice prestazione d'opera
a seguire un piccolo pensiero sul jazz rock
in eff mi piace soprattutto il miles del jazz rock
anche se anche quello hard bop mi piace
poi mi sono piaciuti - ora meno - anche weather report, nucleus, ecc
reggo meglio il jazz rock del jazz prob perché se ne va lo swing che io sopporto veramente poco
non so neanche bene perché
e reggo anche la fusion
sempre presumo per il medesimo motivo
mi infastidisce il virtuosismo
ma sentire shorter, per es, vale la pena
¤
allego un lungo pistolotto dalla rk list
sulla comunità
l'ho letto un po' superficialmente
ma sulla comunità le riflessioni mi interessano e mi sembra che contenga
qche spunto interessante
non conosco l'autore
Il concetto di comunità richiama subito la situazione dell'essere in comune, la quale limita immediatamente la libertà di ognuno e tutti. Ora, siamo stati abituati a pensare libertà e comunità secondo moduli opposizionali.
Per fare un primo esempio, secondo il paradigma comunista, l'essere in comune è il più alto sigillo della situazione della libertà. In questo senso, comunità (comunista) è sinonimo di libertà.
Per fare un secondo esempio, secondo il paradigma libertario, al contrario, la comunità è, in un certo qual modo, l'antitesi della libertà, attenendo questa al singolo, mentre quella concerne il collettivo.
Per fare un terzo (e ultimo) esempio, secondo il paradigma democratico, la comunità richiama l'esistenza di un ordine politico a garanzia delle libertà individuali e collettive. Pertanto, la libertà del singolo e della collettività è sempre filtrata da dispositivi di regolazione politico-statuali.
Stando così le cose, effettivamente come fatto osservare da M. Blanchot, la situazione della comunità si colloca sul margine stretto in cui possibilità e impossibilità sembrano convivere e non distinguersi. E tuttavia - come ripete Blanchot - alla tentazione e al fascino della comunità libera e della libertà in comune non possiamo sottrarci.
Ma qui, evidentemente, non stiamo richiamando la "comunità naturale" e nemmeno la "comunità organica". Ci stiamo esplicitamente riferendo - con Blanchot - alla comunità che è tale nel dare soddisfazione ai bisogni e alle aspettative di libertà e felicità dei propri componenti e di chi ancora non rientra nel suo raggio di azione.
Possiamo designare questa comunità come comunità d'amore, come comunità elettiva. Qui l'elettività è: scegliere a favore della libertà propria e assecondare la libertà altrui. Il limite della comunità naturale e della comunità organica del "suolo e del sangue" è, così, spezzato prontamente.
La comunità elettiva è tale anche (se non soprattutto) per elezione dell'altro. I luoghi dell'identità squarciano, quindi, gli universi del locale. O meglio: li attraversano e li pongono in prossimità elettiva di localismi remoti sul piano strettamente geofisico e geopolitico, ma che diventano prossimi, se non contigui, sul piano dell'esperienza simbolica, affettiva, culturale e comunicativa, soprattutto oggi con l'esplosione delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione. Nell'epoca della globalizzazione, i frammenti delle identità singole/locali si trovano in immediato e intimo contatto in teatri di senso globali.
Ciò indica che nessuna identità (locale o globale che sia) può autoriprodursi ed essere immanente a se stessa. L'auto-immanenza sarebbe solo il primo passo per costruire, in un rapporto di omologia, tutto il resto come copia conforme e dilatata del sé. Intorno a questo incubo si è consumato il delirio di onnipotenza del nazionalsocialismo. Uno sfrenato desiderio di auto-immanenza e auto-trasparenza costituisce, del pari, la malattia mortale del comunismo, in forza del quale esso è stato condotto ad un fatale autodissolvimento, oppure si è rovesciato in devastanti degenerazioni.
Ma i comunitarismi contemporanei hanno un altro marchio. Non si costruiscono più come ipertrofia, bensì come ripiegamento del sé: le "piccole patrie" che convivono le une accanto alle altre, secondo la logica del potere e del dominio. Ognuna espelle l'altero ed il conflittuale dal proprio seno. Spostatolo nell'ordine simbolico esterno, vi possono finalmente ingaggiare una strenua guerra. Il "comune" è qui la proprietà dell'appartenenza; l'altero è il venir meno proprio di questa proprietà, vale a dire il non appartenere.
Ciò che qui emerge, allora, è l'assenza di comunità, poiché niente è (più) veramente in comune, al di fuori della proprietà dell'appartenenza. La comunità territoriale è, dunque, una rappresentazione ideologica che, come tutte le rappresentazioni ideologiche, ha il carattere della falsità. L'essere in comune di cui qui si discute è quell'essere di cui per primo ha parlato J.-L. Nancy: la comunanza di differenze incolmabili ed extraterritoriali. Ora, la comunità d'amore e/o la comunità elettiva è esattamente la comunità delle differenze. L'approccio comunitario e neo comunitario è qui confutato e superato in radice.
Ma è la comunità delle differenze designabile propriamente come l'essere singolare plurale, così come sostiene ancora Nancy? Per meglio dire: possono le infinite singolarità essere la pluralità?
Incontestabilmente, nel discorso che stiamo venendo ad articolare, il profilo della comunità è la libertà; come, d'altronde, il segno della libertà è la comunità. Ma che la libertà abbia una dimensione comune non vuole, perciò stesso, dire che sia plurale. Solo un soggetto multiplo può essere effettivamente plurale. E la comunità delle differenze è un soggetto multiplo. Ogni soggetto, per comunitario che sia, che rimane fermo alla dimensione della singolarità coniuga un pluralismo precario, tremendamente contiguo al pluralismo democratico e alle sue condotte di senso elitiste.
La comunità d'amore, in quanto soggetto multiplo delle differenze, non è semplicemente "impolitica" e nemmeno si limita a mettere in pratica una transizione che la conduce oltre la politica. Come non è la forma disvelata dell'impolitico, così non è l'incarnazione dell'oltrepolitico. Più propriamente, è una dimensione irriducibile alla politica; anzi, sventra letteralmente la politica, costringendola a ridurre le sue pretese di onnipotenza e immergendola nel flusso caldo e tormentato dei "problemi della vita".
Se questo è vero, dobbiamo trarne una radicale conseguenza che incunea uno strappo significativo nei confronti della linea libertaria che da Hannah Arendt perviene fino a J.-L. Nancy: la comunità umana non è la depositaria della libertà, perché umanità e libertà non coincidono. Diversamente da quanto assunto da Hannah Arendt e fatto proprio da Nancy, l'uomo quale inizio non è inizio di libertà; al contrario e più congruamente, come già sapeva E. Paci: la comunità umana è il bilico di libertà e schiavitù.
La libertà trascende la comunità umana; ma, in un certo senso, è anche ad essa preesistente. E tuttavia, della comunità umana la libertà costituisce l'ineliminabile orizzonte di senso. Il vero inizio, dunque, è la libertà; non già la comunità. Nella libertà sta la rottura della fatticità e datità dell'esistenza e della storia. La comunità umana supera la propria interiore indigenza proprio edificando la libertà. Che è libertà per sé e per l'intero vivente umano e non umano.
Sulla comunità umana pesa la condanna alla cattività. La libertà è una scelta di rottura di radicale alterità. È attraverso questa rottura - e solo attraverso essa - che la comunità umana supera la sua immanente indigenza e si riposiziona nel mondo e nel cosmo, senza più agggredirli o smungerli in funzione del proprio dominio assoluto. Il che indica che la libertà non è una necessità, come siamo stati abituati a pensare. Più pertinentemente, nel solco della critica kierkegaardiana alla dialettica hegeliana, la libertà è una possibilità. Ed una possibilità ineliminabilmente correlata ad una scelta, la quale non è necessaria, ma, anzi, problematica e "scomoda". Al crinale opposto della scelta della libertà si situa la schiavitù, la "grande selva" di G. B. Vico (11). Problematica della libertà ed assiomatica del potere si scontrano ancora una volta e più intensamente che mai.
Solo la libertà non è indifferente al fondo oscuro della storia. La radicale rottura che si accompagna alla scelta della libertà riconsegna piena luce al conflitto tra linea del tempo e freccia della storia. L'indifferenza hegeliana ed heideggeriana di fronte alle sorti del mondo è qui vinta. Come è vinta la terribile tentazione esercitata dal fascino seduttivo del male che, nel tentativo di uscita dalla prigionia della piattezza della storia disumanante, avvince in una progressione intensa Sade e Faust.
La libertà è, al tempo stesso, anteriore ed eccedente alla comunità umana. È essa stessa un coagulo di immanenza e trascendenza, "male" e "bene", "negativo" e "positivo". Facciamo da qui ritorno al punto originario indicato da Blanchot: la libertà è sempre la confluenza di possibilità e impossibilità. Essa esige sempre la scelta: chi non sceglie la possibilità della libertà è scelto dalle possibilità della storia, la cui rotta di marcia procede proprio impossibilitando la libertà. Anche per questo si suole spesso dire che la libertà è "questione di vita o di morte".
Ma la scelta della libertà deve essere continuamente ripetuta, affinata e approfondita. Giammai la libertà può espiantare la divaricazione e il contagio di "male" e "bene", "positivo" e "negativo". Essa consiste esattamente nella scelta rinnovata nel groviglio di "male" e "bene", "positivo" e "negativo"
Responsabilità primaria della comunità umana è la libertà. La responsabilità che qui irrompe non è verso una libertà coniugata semplicemente al plurale. No. La comunità umana si scopre e si rende libera solo se valica l'orizzonte angusto dell'umanesimo ristretto entro cui è stata finora imbalsamata.
Responsabilità della libertà indica, in primo luogo, l'eccedenza di tutti i codici politici. La libertà è molto di più delle libertà politiche e civili, pur fondamentali e irrinunciabili.
In seconda istanza, responsabilità della libertà indica la definitiva effrazione dei codici maschili (della politica e del potere; ma non solo) e apertura dell'uomo all'altro umano per eccellenza: l'irrappresentato femminile.
In terza istanza, responsabilità della libertà indica la soppressione del codice duale amico/nemico e la messa in scena della dialogica amico/altro.
In quarta, ma non ultima, istanza, responsabilità della libertà indica la cura umana del mondo e del cosmo, al di fuori di qualunque disegno di colonizzazione.
La comunità umana entro cui e con cui oggi dimoriamo ha in sé i tratti destinali della catastrofe. Questa linea destinale occorre rivisitare e confutare. Sarebbe riduttivo e ingenuo pensare di uscire dalla catastrofe che il XX secolo ha portato a compimento e che, nel contempo, ha lanciato verso nuove e più rovinose deflagrazioni. Si tratta, invece, di separarsi da questa catastrofe. Ciò è possibile, riabbracciando la linea del tempo e facendo esperienza dolorosa di tutte le mutilazioni che la freccia della storia ha sedimentato nelle profondità dell'esperienza umana del tempo.
Non possiamo condividere, soprattutto oggi, i progetti desideranti dell'"Uomo Comunità" ("Homo Gemeinwesen"), in cui l'essere unificato della specie si percepisce come comunità libera e ognuno ritrova il proprio sé, senza smarrire l'appartenenza ad una comunità non più contrapposta alla natura, ma solidale con essa. Qui uomo e natura, per dirla con Camatte, "fanno una sola cosa, non c'è frattura".
Tuttavia, dobbiamo riconoscere a questo, pur parziale, approccio intuizioni felici e anticipatrici, in completa dissonanza con le culture di tutte le sinistre del tempo e fino all'aperta e integrale messa in questione dell'impianto marxiano e comunista. Senza, per questo, arretrare di un millimetro in fatto di radicalità; al contrario, acquisendone dosi supplementari e più vitali.
Il concetto di "Homo Gemenweisen" serve qui alla confutazione sistematica delle pretesa di ogni comunità territoriale e/o razziale di elevarsi al rango di specie. Demolito in radice è, così, il disegno totalitario di far coincidere etnia con comunità. È soltanto lungo la linea di sviluppo di questa semantica distorsiva che la parola comunità è diventata una parola maledetta, a fronte e ben dentro letali progetti e processi di sopraffazione umana. Il carattere letale di questa semantica riposa esattamente nella rimozione simbolica, politica e, perfino, manu militari delle differenze.
Che questo non sia affare esclusivo dei populismi e comunitarismi di oggi è ben mostrato dall'intera evoluzione della storia occidentale (e non solo). In gran parte, la civilizzazione occidentale si è retta su una semantica distorsiva della comunità, in forza della quale l'etnocentrismo è divenuto il termine di inclusione dei valori identificativi occidentali di volta in volta dominanti e, insieme, il selettore di esclusione di quelli alteri.
Ma lo stesso paradigma dell'"Homo Gemeinwesen" rimane esposto a quest'esito. Innanzitutto, perché rimuove la differenza uomo/natura. In secondo luogo, perché non appare inclusivo della differenza uomo/donna. In terzo, perché la comunità umana, proprio nella qualità di espressione della specie, è comunità delle differenze, con tutto il carico di inquietudini e problemi aspri che la situazione comporta.
La relazione uomo-natura non può mai assumere le forme della totalità; bensì rimane una relazione conflittuale. Solo che ora e qui la comunità umana non può regolare il conflitto con la natura in funzione di dominio. Dal dominio sulla natura, sulla specie, sul vivente e sul differente occorre iniziare a separarsi in via definitiva.
Tanto più forti si fanno le pulsioni comunitariste, quanto più le comunità organiche (etniche, territoriali etc) sono scalzate e destrutturate dai processi della differenziazione. Il comunitarismo è una risposta retrograda ad una problema avanzato. Non ci si può limitare a rincorrerlo o contrastarlo: la rincorsa e il contrasto rimangono sullo stesso piano dell'avversario che si vuole sconfiggere. Occorre aprirsi alla scelta e all'esperienza di una nuova prospettiva: la comunità delle differenze.
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frammento di un testo di Antonio Chiocchi - novembre 2000
(tratto da qui)
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su tematiche affini ma specificamente musicologiche
un bel libro di
antonello colimberti
(qui e qui qualcosa di suo o su di lui)
ecologia della musica
ed. donzelli
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e qui il blog di un musicista inglese, alex young, che in data 22 dicembra 2004 parla anche di me
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